Sento che l’argomento della “centratura” o della “mancata centratura” sarà un argomento cruciale negli anni a venire. Domandandomi le ragioni di questa mia sensazione ho cercato di darmi una possibile risposta. Quella che la psicologia definisce clinicamente “schizofrenia” (dal greco “divisione”) è il destino dell’umanità che procede in modo ambivalente: sente con il corpo e le budella delle cose e ne professa delle altre. È fare un lavoro che non si sente “proprio”, dire delle cose che non si pensano e che non ci appartengono per compiacere qualcuno, intrattenere per scelta dei rapporti che non rappresentano nulla per noi. L’antidoto della schizofrenia e dell’alienazione è l’interezza, la centratura e fin qui sarebbe anche banale a dirsi, ma vediamo di approfondire. Se si sta nel centro, sede dell’anima, si capisce che ogni personaggio esiste perché esiste l’anima che vive queste diverse esperienze e quindi si capisce che tutti i raggi portano al centro, vale a dire che tutti i personaggi che interpretiamo sono delle “rappresentazioni di parti di noi”; a dire il vero più che “capirlo” lo si sente. Questo dunque è lo schema.
La schizofrenia è quando i personaggi vanno per i fatti loro, quando non c’è un “regista” perché il centro della ruota non c’è più. In realtà non è corretto dire che non c’è più perché l’anima ovviamente c’è sempre; solo che la ripetuta esperienza di non aver più contattato questo “centro” da un bel pezzo, fa sì che si possa cadere nella convinzione che questo “centro” davvero non ci sia più. La ricetta quindi per non rischiare di cadere in questa “trappola” è quella di tornare sempre al centro prima di passare ad un nuovo personaggio ed interpretare un’altra parte. Non bisogna in alcun modo passare da un raggio a un altro senza transitare, almeno brevemente, per il centro. Il centro serve per assorbire le energie del raggio, scaricare come in un hard disk le esperienze vissute e le emozioni provate, perché siano metabolizzate dall’anima e integrate nell’esperienza globale. Dopo di ciò si possono proiettare quelle stesse energie, ripulite delle emozioni specifiche raccolte, su di un altro raggio. L’esperienza di passare dal centro fa sì che non si possa confondersi: al centro c’è solo la coscienza dell’’anima, unica vera identità di questa vita. C’è chi sta sempre fermo al centro per paura, ma la vita dell’uomo è fatta per sperimentare e creare e sarebbe assurdo non farlo; occhio però a tornare sempre al centro! Occorre tenere a mente la ruota e sapere che quando si impersona qualcuno si è su di un raggio. Non bisogna mai passare direttamente da uno all’altro per la fretta; è infatti l’esperienza continua del non avere centro a convincerci di essere frammentati. Tornare al centro è anche qualcosa che aiuta a disidentificarsi dai singoli ruoli, impedendoci di considerarli totalizzanti. Vediamo ora che cosa significa in pratica “passare dal centro”. Questa fase consiste nel fare una pausa nella quale non si è nessun personaggio: si respira con il vento, si giace con la terra, si ride e si sobbalza con il fuoco e si è fluidi come il fiume che scorre. La chiave è essere tutt’uno con gli elementi della nostra vita sulla terra. Al centro infatti, dove c’è l’anima, c’è il fuoco, la terra, l’aria e l’acqua, intese come energie primordiali indefinite. Il concetto è che ogni personaggio risponde ad una personificazione molto specifica di una certa energia. Il fuoco ad esempio potrebbe essere un’insegnante che infiamma le menti dei suoi allievi, oppure un militare che combatte per un ideale, oppure ancora un atleta che corre o un capufficio arrabbiato; l’acqua potrebbe essere un poeta che si emoziona guardando una montagna, o un pesce che nuota, o una mamma che culla il suo bambino o ancora un guaritore. Ebbene, questi personaggi non sono integralmente il fuoco o l'acqua, che stanno nel centro in quanto sono archetipi generali. Il fuoco la terra l’aria e l’acqua che stanno nel centro sono gli archetipi di base con le cui energie noi di volta in volta edifichiamo delle realtà specifiche lungo i vari raggi della nostra azione nel mondo materiale. Occorre quindi sempre ritornare nell’indefinito prima di definirsi nuovamente. L’uomo spesso non fa questo perché ha paura dell’indefinito, ha paura che nulla di ciò che egli è possa sopravvivere nell’indefinito, ma è proprio qui la salvezza: l’uomo deve sperimentare proprio che esiste senza essere nessun personaggio. L’esperienza dell’esistenza anche nel centro, dove non c’è nulla di definito, è l’unica che ci fa capire che non esistono solo le cose definite e già manifestate, ma che tutte le cose che hanno forma derivano dalla “non forma” che sta al centro e che anzi essa è l’unico vero collegamento con l’intera Creazione e se mai dovessimo sentire un senso di “appartenenza” è certamente con quella che dovremmo sperimentarlo. Astro Nashira - aurelia bracciforti - 29 Novembre 2024
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AutoreSono Aurelia Bracciforti, nota come Astro Nashira. Archivi
Novembre 2024
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