Quando ci si occupa di guardarsi dentro allo scopo di riconoscere e identificare le situazioni emotivamente penalizzanti e superarle, si fa senza dubbio qualcosa di prezioso sulla strada della nostra consapevolezza. Vi è tuttavia qualcosa di molto più banale, che incontriamo tutti i giorni e a cui non diamo il dovuto rilievo, che è una pietra miliare nello svelamento della nostra “divinità interiore” ed è il riuscire a non provare più alcun “fastidio” per nessuna circostanza della nostra vita e per nessuna persona ci capiti di incontrare. Che senso avrebbe infatti per un essere divino farsi turbare da simili bazzecole? Il provare fastidio infatti è umano, ma il non attribuire grande importanza al fastidio stesso ci aiuta a riscoprire la nostra divinità nel momento stesso in cui lo facciamo. Infatti l'attribuire una esagerata importanza è sintomo di impotenza e di sopravvalutazione della situazione o persona che ci dà fastidio. E nel momento in cui stiamo sopravvalutando qualcosa che è esterno a noi, stiamo necessariamente sottovalutando l'altro termine, cioè NOI. Proprio qui si nasconde a ben vedere la chiave della nostra “regalità” ed è precisamente per questa ragione che nel corso dei millenni chi ha tenuto sottomessa e prigioniera l'umanità, ha cercato in ogni modo di “neutralizzare” le capacità umane di far fronte a qualsiasi, letteralmente qualsiasi cosa... Riflettiamo. Quando noi proviamo fastidio per qualcuno o qualcosa cerchiamo di allontanarci dalla fonte del nostro disagio e quindi restringiamo necessariamente il nostro raggio d'azione; facciamo questo perché ci sentiamo in qualche modo “minacciati” da quella situazione. Se non possiamo scappare il nostro livello di sofferenza aumenta, perché ci sentiamo come un animale in trappola: impotente e quindi in balia degli eventi. Ma è reale questa situazione? Voglio dire: siamo davvero impotenti? Cosa determina che in una situazione noi siamo impotenti? È qualcosa di oggettivo o è causato dal modo in cui noi “vediamo” quella situazione? Approfondiamo. Vi racconto un episodio della mia infanzia che utilizzeremo per illustrare bene il concetto di "fastidio": il problema delle intolleranze. Quando io ero piccola, nei primi anni sessanta, ero intollerante al latte. Lasciamo per ora da parte ogni lettura“simbolica” di questo fatto e occupiamoci solo di come questa intolleranza è stata trattata dal mio medico dell'epoca. Venne suggerito a mia madre di sospendere completamente il latte per 28 giorni. (È interessante notare come come i medici di una volta fossero al corrente dei cicli lunari, dei processi di ricambio cellulare e via discorrendo, ma anche questo per ora lo lasciamo da parte.) Dopo 28 giorni venne reintrodotto nella mia alimentazione il latte procedendo con mezzo cucchiaino un giorno sì e un giorno no, poi con un cucchiaino e via di questo passo, fino ad arrivare alla quantità desiderata, senza che il mio corpo desse più segni di intolleranza a quell'alimento. Perché cito questa mia personale esperienza? Semplicemente perché spiega come l'approccio, per lo meno medico, di fronte ad una intolleranza fosse a quell'epoca quello di “abituare” il corpo a non reagire male di fronte ad una certa sostanza; occorreva in qualche modo procedere gradualmente a fargli “imparare a non temerla ”. Questo è un esempio basato su un fenomeno fisico e sulle reazioni del corpo, ma non c'è alcuna differenza se trasponiamo questo atteggiamento ai fenomeni sottili, alle emozioni e ai pensieri. Il tipico detto di una volta ”quel che non strozza ingrassa”, declinato naturalmente in vario modo negli splendidi dialetti italiani, spiegava esattamente questo approccio, vale a dire: Se ciò che stai affrontando non ha il potere di ucciderti, vuol dire che tu hai il potere di farlo diventare per te una fonte di nutrimento! Beata saggezza popolare! Mai frase fu più vera. Partiamo da qui e dalle splendide conseguenze che ovviamente derivano dal fatto di non farsi più dettare le condizioni da ciò che ci dà fastidio. Come si fa? È davvero semplice: occorre sapere, non credere, mi raccomando ma sapere che siamo in grado di risolvere qualsiasi problema. Non esiste mai infatti un potere fuori di noi che non serva ad attivare un potere dentro di noi, per il semplice motivo che siamo noi a materializzare questo terreno di sfida, allo scopo di diventare consapevoli del nostro potere. Situazione tipica: “Ho cambiato letto e non riesco a dormire!” Perfetto! È un occasione bellissima per accorgermi di come sia ridicolo che io mi faccia dettare le condizioni della mia felicità da un letto... Io ho il potere di addormentarmi se lo desidero, comunque e in qualsiasi condizione! Ora non è tanto importante che io, proseguendo nell'esempio, riesca davvero a dormire come se nulla fosse...è chiaro che sono in difficoltà; tuttavia decido con un atto della mia Volontà, che non me ne lascerò condizionare e dormo semplicemente quel che riuscirò, ma baderò bene di non attribuire dentro di me alcun potere al “letto”! Se si analizza questa storia in modo superficiale si dirà che comunque io ho dormito male e quindi non è servita a nulla questa esperienza se non a farmi dormire male. In verità ci sono sempre vari punti di vista e questo è solo uno. Un altro potrebbe essere che, nonostante io pensassi di non dormire per nulla, un po' ho dormito e questa è una grande vittoria per me, che sfata il mito che il letto avesse un qualche “potere” assoluto su di me! Il mio non attribuirgli nessun potere nei miei confronti ha causato che io, contrariamente a quel che era sempre successo in circostanze analoghe, sia riuscito a riposarmi un po', nonostante il letto. È molto importante lavorare sulla propria capacità di non farsi turbare da nessun fastidio. È infatti proprio il fatto di considerare una cosa come fastidiosa o minacciosa che le dà un potere su di noi e precisamente le dà il potere di renderci infelici fintanto che permane quella situazione o siamo in presenza di quella persona. Al contrario il solo fatto di considerare indifferente una circostanza avversa, la rende tale. Immaginatevi la differenza fra una persona che avendo deciso di fare una gita, si fa scoraggiare dalla pioggia o dal vento o dal freddo o dal fatto che è successo un contrattempo e deve posticipare l'inizio della gita. Considerate ora una persona che “ingloba” per così dire nel campo delle sue esperienze, considerandole delle “avventure” tutte le circostanze sopra indicate... Si divertirà senz'altro qualsiasi cosa succeda! Le circostanze della vita non hanno mai di per sé il potere di renderci felici o infelici; siamo noi che diamo loro questo potere, se non interveniamo con un atto specifico della nostra Volontà per cambiare la situazione. Ricordo qui come l'attributo della Volontà è l'attributo della Sephirà di Kether, quella più in alto sull'Albero della Vita, quella da cui si originano tutte le altre... quindi quella legata al Principio Creatore che si manifesta proprio come “Volontà tendente ad un fine” L'altra riflessione importante che prima ho solo sfiorato e sulla quale mi interessa ritornare è che se osserviamo le circostanze esterne a noi in questo momento storico è intuibile il motivo per cui, ora più che mai, sia importante riconoscere che sono state prodotte da noi, e dall'umanità più in generale, per sviluppare attrito e far sorgere appunto la Volontà di dare finalmente un “colpo di coda” all'atteggiamento che l'umanità stessa ha portato avanti finora, cioè quello di farsi “bullizzare” (è il termine più appropriato che posso trovare!) dai fenomeni da essa stessa prodotti. L'esempio più comico che mi viene in mente per illustrare questa situazione è quello in cui noi ci mettiamo davanti allo specchio a fare delle facce terrificanti e poi crediamo a quelle facce come qualcosa di esterno a noi e ce ne spaventiamo scappando via dallo specchio “cattivo” che ce le propone... Questa vita, la nostra vita, intesa come vita di ognuno di noi e come processo storico nel quale siamo immersi è qualcosa che è stato partorito da noi e dal resto dell'umanità nel suo complesso con intento “educativo”. Ricordiamoci però cosa vuol dire educare. Deriva dal latino “educere” vale a dire “portare fuori”, “far uscire”. Significa in primo luogo far uscire e far fiorire ciò che già si trova all'interno del bambino, e quindi in questo contesto “all'interno di chiunque”; questo era il senso di “educazione” per gli antichi che, come si può ben vedere, erano mediamente molto più saggi di noi. In questo momento è quindi di estrema importanza cambiare paradigma e smettere di “salvaguardarsi” dagli altri e dal mondo; più arretriamo sentendoci minacciati più diamo consistenza alla minaccia e la rendiamo reale. Vi invito ad acquisire dentro di voi questo disegno, che vi sarà particolarmente utile in tutte quelle circostanze in cui sareste tentati di arretrare... Un abbraccio a tutti! aurelia bracciforti - astro nashira
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AutoreSono Aurelia Bracciforti, nota come Astro Nashira. Archivi
Novembre 2024
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